C A P P E L L A
DI
SANT’ANNA DEI PARAFRENIERI
Inizialmente contenuta al secondo piano del castello, e dedicata a San Giorgio e il Drago, la cappella gentilizia di famiglia venne spostata al pian terreno e dedicata a Sant’Anna, in occasione della ricezione dei baroni Gallelli di Badolato nel prestigioso collegio dei Parafrenieri Pontifici di Sua Santità (collegio del quale Sant’Anna è appunto la patrona) avvenuto il 25 novembre 2014, evento che viene ricordato con una messa celebrata a castello Gallelli il 25 novembre di ogni anno.
Già indicati col termine STRATORES, i parafrenieri pontifici devono l'origine del loro nome al termine parafreno, utilizzato per indicare i cavalli da parata.
I parafrenieri, infatti, erano gli antichi famigli del papa incaricati, già prima del X secolo della direzione e del governo delle scuderie pontificie.
Custodivano il cavallo personale del papa e i suoi finimenti nonché gli altri preposti al traino della carrozza pontificia, di cui loro stessi erano conduttori. Avevano anche l'incarico di custodire nelle scuderie la mula bianca che veniva montata dal papa neo-eletto per prendere possesso, quale vescovo di Roma, della Basilica di S. Giovanni in Laterano. La mula veniva tenuta per le briglie attraverso il morso da un parafreniere, che aveva così modo di condurre l'animale senza l'intervento del pontefice. Lo stesso accadeva quando il papa montava il proprio cavallo personale. Era considerato un grande privilegio poter reggere il morso del cavallo del papa, nonché porgere la staffa
allo stesso, tant'è che questa consuetudine era riservata quale esclusiva prerogativa dei re e dei principi regnanti.
Lo storico settecentesco Ludovico Antonio Muratori, nella sua Dissertazione IV Degli Uffizj della Corte dei Re antichi d'Italia e degl'Imperatori, scrive:
« ... Non pochi degl'imperadori e re de' secoli susseguenti (tanta era la loro riverenza a San Pietro) non disdegnarono di tenere la staffa ai Romani Pontefici, e la briglia nelle solenni funzioni. Talmente s'era stabilito quest'atto di ossequio verso i Vicari di Cristo che avendo Federico I allorché nell'anno 1155 venne verso Roma per prendere la corona imperiale, ricusato di prestarlo a papa Adriano IV, non fu ammesso al bacio dello stesso Papa, come s'ha dalle memorie di Cencio Camerario e da altre storie, e s'imbrogliarono forte gli affari per questa contesa. Ma cotanto si adoperarono i più vecchi ed autorevoli de' principi con allegare l'antica consuetudine, che fu stabilito "quod Donnus Imperator pro Apostolorum Principis et Sedis Apostolicae reverentia exhiberet Stratoris officium, et streugam Donno Papae teneret". In lingua Longobardica o sia Germanica lo Stratore era chiamato Marphais; e che fosse questo ufizio splendido, si può dedurre da Paolo Diacono, il quale nel lib. II, cap. 9 scrive essere stato Gisolfo, nipote di re Alboino "vir per omnia idoneus, qui eidem Strator erat, quem lingua propria Marpahis appellant". Nella corte de' principi di Benevento pare che vi fosse più d'uno di questi Marpahis, trovandosene memoria nella Cronica del Monistero di Volturno, e nelle carte degli Arcivescovi di Benevento, e nella Cronica di Santa Sofia, tomo VIII dell'Italia Sacra. » |
Questa particolare funzione, riservata ai parafrenieri, comportò loro l'acquisizione di enormi privilegi, tra i quali la nomina a Conti palatini, insigniti della facoltà di crearne a loro volta, concedere lauree e creare notai. La loro importanza nella corte pontificia e l'indiscussa fedeltà dimostrata al pontefice indussero papa Giulio II il 19 aprile 1507 ad istituire il "Nobile Collegio dei Parafrenieri Pontifici", corpo confermato 15 aprile 1517 da Leone X. In tale collegio erano annoverati, oltre i parafrenieri, anche i sediari pontifici, con cui condividevano, oltre la divisa, anche alcune delle funzioni di servizio diretto al pontefice.
A seguito del Concilio di Trento i grandi privilegi vennero via via ridimensionati, e, con la soppressione delle scuderie pontificie, soprattutto a seguito dei Patti Lateranensi del 1929, i parafrenieri confluirono definitivamente nel collegio dei sediari pontifici, di cui condivisero infine anche il nome.
Parafrenieri e sediari costituirono, sin dal 1378, anche una propria confraternita, intitolata alla loro patrona Sant'Anna, venerata in una cappella all'interno della basilica di San Pietro. Papa Pio IV concesse loro di edificare, nel 1565 nei pressi di San Pietro, una chiesa intitolata a Sant'Anna, opera progettata e realizzata dall'architetto Jacopo Barozzi da Vignola. La confraternita, ricca e potente, incaricò il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio della realizzazione, per la cappella in San Pietro, di un dipinto raffigurante la loro patrona con Maria e Gesù bambino, opera ancora oggi conosciuta come Madonna dei Palafrenieri, conservata presso la Galleria Borghese in Roma. Ancora oggi la Venerabile Arciconfraternita Vaticana di Sant'Anna de' Parafrenieri è retta dai sediari pontifici e dagli altri membri appartenenti all'anticamera pontificia. Ne è Primicerio il Prefetto della Casa Pontificia ed è retta dal Decano Generale, attualmente Frà Massimo Sansolini. Ha un Protonotario Apostolico ed un Cappellano. Ne fanno parte anche alcuni ambasciatori presso la Santa Sede e membri delle più note casate italiane.
DIPINTI
Tra i quadri che decorano la cappella di Sant’Anna dei P arafrenieri a castello Gallelli di Badolato , si possono ammirare i seguenti dipinti :
-Sant’Anna
Protettrice del Collegio dei Parafrenieri Pontifici, il dipinto di Sant’Anna venne commissionato nel 2017 dal barone Ettore Gallelli di Badolato, al noto pittore romano Giacomo Sonaglia, per commemorare la ricezione del barone nel prestigioso collegio Parafrenieri Pontifici di Sua Santità (gentiluomini in servizio all’interno all’anticamera papale, unitamente al collegio dei Sediari). I l dipinto cm. 12 0 x80 cm. è espost o sulla parete S ud - O vest della cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri , e raffigura Sant’Anna nell’intento di educare la vergine Maria. Il quadro ritrae infatti Sant’ Anna seduta, mentre la futura madre di Gesù è inginocchiata davanti a lei , raccolta in una preghiera “premonitrice”. Sopra Maria due puttini la incoronano quale futura madre del salvatore, mentre alle loro spalle sullo sfondo, in una campagna di fantasia, compaiono al naturale i tre animali che simboleggiano lo stemma Gallelli di Badolato (l’aquila, la volpe, e il gallo) qual i committent i dell’opera .
Anna (Sefforis I secolo a.C. – I secolo) è considerata dalla tradizione cristiana la moglie di Gioacchino e la madre di Maria Vergine ed è venerata come santa.
I genitori di Maria (e quelli di Elisabetta) non sono mai nominati nei testi biblici canonici; la loro storia fu narrata per la prima volta negli apocrifi Protovangelo di Giacomo e Vangelo dello pseudo-Matteo, per poi arricchirsi di dettagli agiografici nel corso dei secoli, fino alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
Molti santi orientali hanno predicato su sant'Anna, quali, ad esempio, san Giovanni Damasceno, sant'Epifanio di Salamina, san Sofronio di Gerusalemme. Le vicende della santa furono poi raccolte nel De Laudibus Sanctissime Matris Annae tractatus del 1494. La memoria liturgica nella Chiesa Cattolica ricorre il 26 luglio.
Papa Gregorio XIII (1584) estese la memoria a tutta la Chiesa cattolica.
-San Giorgio e il drago
Commissionato anch’esso nel 2017 dal barone Ettore Gallelli di Badolato al famoso pittore romano Giacomo Sonaglia, il dipinto cm 200 x 150 cm. è espost o anch’esso sul la più grande parete S ud - O vest della cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri.
Il grande dipinto raffigura San Giorgio a cavallo, chiuso in un’armatura rinascimentale, mentre infilza con la lancia i l drag o (simbolo del male). Il mantello rosso sangue proteso in aria, la posizione tesa della gamba di San Giorgio, e il destriero bianco ritratto nell’atto di impennarsi, mentre con l’occhio sbarrato fissa il drago, comunicano allo spettatore tutta la dinamicità e il pathos dello scontro tra il bene e il male. Sullo sfondo nell’atto solenne di pregare è invece ritratta una candida dama, mentre in lontananza castello Gallelli di Badolato troneggia su un colle, sopra il quale dalle nuvole appare la mano benedicente di Dio. San Giorgio (Cappadocia, 275-285 – Nicomedia, 23 aprile 303) è stato un militare romano secondo una consolidata e diffusa tradizione, un martire cristiano, venerato come santo megalomartire (Hàghios Geòrgios ho Megalomàrtys, Ἅγιος Γεώργιος ὁ Μεγαλομάρτυς ) da quasi tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi. Morì prima di Costantino I, probabilmente sotto le mura di Nicomedia (oppure a Lidda), secondo alcune fonti nel 303. Il suo culto è molto diffuso ed è antichissimo, risalendo almeno al IV secolo.
In mancanza di notizie biografiche certe su san Giorgio, le principali informazioni provengono dalla Passio sancti Georgii, che però già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte, Giorgio era originario della Cappadocia (regione dell'odierna Turchia), figlio di Geronzio, persiano, e Policromia, cappadoce, nato verso l'anno 280. I genitori lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie e forse suo successore. Il martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano stesso (che però in molte versioni è sostituito da Daciano, imperatore dei Persiani), il quale avrebbe convocato settantadue re per decidere quali misure prendere contro i cristiani per sterminarli.
Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei, si rifiutò: secondo la leggenda, venne battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione.
Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vennero uccisi a fil di spada; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l'imperatrice Alessandra, che venne martirizzata.
A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezzò e le fece sparire. L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio che l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; dopo la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito greco-ortodosso) a Lidda, nello stato di Israele. Anticamente nella "Superba", la repubblica marinara di Genova - il cui vessillo era appunto una croce rossa in campo bianco - la venerazione di san Giorgio era riconosciuta a livello istituzionale, tanto da identificare l'immagine di san Giorgio e la bandiera rossocrociata con la Repubblica genovese; "Genova e san Giorgio" era il grido di battaglia degli armati della Repubblica.
Il simbolo di San Giorgio ricorre ancor oggi nello stemma comunale del capoluogo ligure; lo stesso Grifone, proprio degli stemmi genovesi, potrebbe essere, in conseguenza dei rapporti tra Genova e il bacino del Mar Nero e vicino oriente anatolico-persiano, una rielaborazione per contaminazione della figura del drago.
La grande diffusione del culto di san Giorgio, originariamente venerato in Oriente, si ebbe inizialmente in Europa in conseguenza delle Crociate in Terrasanta, e più precisamente ai tempi della battaglia di Antiochia.
Accadde che, nell'anno 1098, durante una delle più furiose battaglie, i cavalieri crociati e i condottieri inglesi vennero soccorsi dai genovesi, i quali ribaltarono l'esito dello scontro e consentirono la presa della città, ritenuta inespugnabile.
Secondo la leggenda, il martire si sarebbe mostrato ai combattenti cristiani in una miracolosa apparizione, accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere, nelle quali campeggiavano croci rosse in campo bianco.
La festa liturgica si celebra il 23 aprile. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. Invece in Georgia, Paese che prende nome da lui, viene festeggiato il 23 novembre. Egli viene considerato, almeno dal IV secolo, martire di Cristo da quasi tutte le chiese che ammettono il culto dei santi.
Nel 1969 la Chiesa cattolica declassò il santo nella liturgia a una memoria facoltativa,ma la devozione dei fedeli è continuata.
Secondo vari studiosi, san Giorgio e san Michele sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago, parte della fase solare del mito della creazione, il cui archetipo fu il dio babilonese Marduk.
- Madonna Gallelli
La Madonna con bambino (olio su tela 70x-100 dipinta da anonimo), è ammirabile sulla parete S u d - E st della cappella, e venne c ommissionata dai baroni Gallelli nel 1527. C ontenuta originariamente a l piano nobile della cappella gentilizia di palazzo Gallelli (in via Gallelli n. 16 in Badolato borgo) dopo il 1969 venne trasferita al secondo piano di castello Gallelli, nella cappella di San Giorgio.
M aria iconoclasticamente seduta in posizione centrale , è ritratta mentre con la mano destra cinge il pancino di Gesù bambino ritto in piedi, mentre con la mano sinistra sorregge il piede del futuro redentore, trasmettendo all’osservatore tutto l’affetto e la tenerezza universale delle mamme.
S ullo sfondo si intravede un paesaggio nel quale (come è tradizione in casa Gallelli) compaiono liber i al naturale i tre animali simbolo dello stemma di famiglia (l’aquila, la volpe, e il gallo) committ enti dell’opera .
-Madonna con bambino
Su una piccola parete Sud-Est è ammirabile un’altro piccolo dipinto anonimo (cm. 30x40 -1598) raffigurante una Madonna con bambino, anch’esso originariamente contenuto al piano nobile della cappella gentilizia di palazzo Gallelli (in via Gallelli n. 16 in Badolato borgo).
-Papa Francesco
Commissionato anch’esso nel 2017 dal barone Ettore Gallelli di Badolato al famoso pittore romano Giacomo Sonaglia, il ritratto di Papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio, Buenos Aires, 17 dicembre 1936) il quale dal 13 marzo 2013 è il 266º papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma, 8º sovrano dello Stato della Città del Vaticano, primate d'Italia, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice, di cm. 50x70 è ammirabile sulla parete nord -ovest della cappella.
- Papa Leone X de’ Medici
Sulla grande parete N ord- E st è invece ammirabile l’enorme ritratto di Papa Leone X (nato Giovanni di Lorenzo de' Medici -Firenze 11 dicembre 1475 – Roma, 1º dicembre 1521) che è stato il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte. Il dipinto (o lio su tela cm. 103x210 ) originariamente contenuto a palazzo Corsi di Firenze, è giunto nella collezione Gallelli di Badolato, attraverso il matrimonio c oi baroni Corsi di Turri e Moggio, s u gentile concessione del Barone Stefano Corsi (suocero del barone Ettore Gallelli di Badolato).
Nel periodo granducale i Corsi ebbero vari senatori in famiglia, essendo stat a una casata alleata dei Medici (contrariamente agli Strozzi, ai Pitti, e ai Pazzi) da cui appunto la presenza di questo grande dipinto d el primo papa Medici a palazzo Corsi, in via Tornabuoni a Firenze (donato loro dagli stesi Medici).
I Corsi furono in origine una delle principali casate di Firenze, ove vi si stabilirono nel medioevo, arricchendosi gradualmente e arrivando ad acquistare numerose proprietà, prima in corso Tintori, e poi nella futura via dei Tornabuoni. Ebbero inoltre 28 priori di libertà e 9 Gonfalonieri di Giustizia nella Repubblica fiorentina, ma fondamentale per la loro ricchezza fu il trasferimento a Napoli, dove acquisirono grandi ricchezze e il titolo nobiliare di marchesi. Tornati a Firenze, alla fine del Cinquecento Bardo Corsi acquistò il palazzo Tornabuoni, che, grazie all'attività del marchese Jacopo Corsi, divenne sede dell'Accademia fiorentina, legata alla camerata dei Bardi, e proprio qui, nel 1594, venne rappresentato il primo melodramma, La favola di Dafne, su libretto di Ottavio Rinuccini. Tra gli artisti del circolo musicale del Corsi ci furono Torquato Tasso, Claudio Monteverdi e Giambattista Marino. Nel 1502, sempre Jacopo, acquistò la villa Guicciardini Corsi Salviati a Sesto Fiorentino, una delle ville suburbane di Firenze più splendide. Una parte della famiglia si legò infatti ai Salviati, assumendo il doppio cognome, al quale si aggiunse poi anche quello dei Guicciardini. Un ramo si trasferì in abruzzo nel XVIII secolo, ove ottenne dal sovrano delle due Sicilie i titoli di baroni di Turri e Moggio. La famiglia è imparentata coi Colonna Paliano, Hohenlohe-Bartenstein, Asburgo Lorena, de Sangro-Fondi, Cenci Bolognetti di Vicovaro, Malvezi Campezzi, Barberini, Orsini, Imperiali di Francavilla, e in ultimo appunto Gallelli di Badolato. Ma chi era Leone -X de’ Medici? Papa Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de' Medici (Firenze, 11 dicembre 1475 – Roma, 1º dicembre 1521), è stato il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte. Giovanni era il secondogenito di Lorenzo de' Medici e Clarice Orsini e portò alla corte pontificia lo splendore e i fasti tipici della cultura delle corti rinascimentali. Fu l'ultimo papa a essere semplice diacono al momento dell'elezione. Il cardinale de' Medici, che non aveva grandi rivali, si recò subito a Roma per il conclave che incominciò il 9 marzo. Grazie all'abile segretario Bernardo Dovizi da Bibbiena, che riuscì a convincere molti cardinali elettori sull'opportunità di un papa mediceo dallo spirito conciliante e che probabilmente non avendo buona salute sarebbe durato poco, il giorno stesso venne eletto papa. Non essendo che diacono, fu subito ordinato sacerdote e vescovo il 13 marzo 1513 e poi incoronato in modo solenne il 19 marzo. La sua tendenza alla conciliazione emerse subito appena eletto. Concesse il perdono ai cardinali che avevano aderito al "conciliabolo di Pisa" dove si era tentato di eleggere un antipapa; perdonò Pompeo Colonna che aveva tentato di provocare un'insurrezione popolare per instaurare una repubblica a Roma; perdonò i congiurati Boscoli e Capponi che avevano complottato contro di lui a Firenze, salvando la vita a Niccolò Machiavelli. Tra i primi atti del suo pontificato vi fu la riapertura del Concilio ecumenico (27 aprile 1513, apertura della sesta sessione), già indetto dal suo predecessore. Tra i padri conciliari persistevano molti contrasti; Leone X riuscì a risanarli evitando il pericolo di uno scisma. Il pontefice tenne personalmente la dodicesima e ultima sessione, il 16 marzo 1517. Durante il concilio il pontefice fece pubblicare le seguenti bolle: • Apostolici Regiminis (19 dicembre 1513), sull'immortalità dell'anima (contro le teorie filosofiche degli averroisti) e sulla sottomissione della verità filosofica a quella teologica; • Supernae Dispositionis (5 maggio 1514), emanata come decreto di riforma della Curia romana; essa riguarda inoltre la libertà ecclesiastica e la dignità episcopale e condanna alcune esenzioni non autorizzate; • Regimini Universalis Ecclesiae (4 maggio 1515), per riformare alcuni abusi presenti nella Chiesa, e rispondere in questo modo all'invocazione di riforma in capite et membris che proveniva dalla base; • Inter Sollicitudines (4 maggio 1515): riguarda la censura preventiva dei libri di argomento religioso, la cui stampa deve essere autorizzata dalla Chiesa. La pena per chi avesse pubblicato libri non autorizzati era la scomunica, il rogo pubblico dei libri stampati, una multa di cento ducati e il divieto di stampare per un anno. Qualora si reiterasse nella stampa di libri non autorizzati, erano previste pene più severe. • Inter Multiplices (4 maggio 1515): essa sancisce la liceità dei Monti di pietà allo scopo di aiutare le persone povere che necessitavano di aiuto nel modo più favorevole; • Supremae Maiestatis (19 dicembre 1516), essa stabilisce nuove norme circa la predicazione dei chierici; • Dum Intra Mentis (19 dicembre 1516), riguarda i religiosi e i loro privilegi. Dal 1438 era in vigore in Francia un'ordinanza regia in base alla quale il re di Francia si dichiarava guardiano dei diritti della Chiesa nazionale (Prammatica Sanzione di Bourges). Leone X riuscì a temperare la tendenza autonomista della Chiesa francese venendo ad accordi con essa. Il 18 agosto 1516 egli firmò a Bologna con il rappresentante del re di Francia, Antonio Duprat, futuro vescovo e cardinale, un concordato, con il quale la Santa Sede rinunciava ai territori di Parma e Piacenza, ma otteneva la revoca ufficiale, da parte del Sovrano francese, della Prammatica Sanzione. Il desiderio di un maggior avvicinamento e diffusione della Bibbia attraverso una traduzione ufficiale in lingua volgare è un comune sentire nell'Europa dell'epoca, ma la sua esasperazione operata dai riformatori protestanti in chiave polemica e anti-romana, porta, per reazione, al suo rigetto e rifiuto da parte della Chiesa cattolica, che codifica nei decreti del Concilio di Trento l'uso esclusivo del latino e della Vulgata come testo autentico in tutta la vita pubblica, liturgica e dottrinale, della Chiesa latina, poiché si vede nella lingua volgare uno degli strumenti usati dai riformati per sovvertire la Messa, e l'origine – dando il testo in lingua volgare possibilità a chiunque di “interpretare” la Sacra Bibbia – delle eresie di Lutero, Zwingli e Calvino. In ambito artistico, Leone X commissionò il principale ciclo di affreschi realizzato da Raffaello, noto col nome di Loggia. Il 1º dicembre del 1521, Leone X fu colto da un improvviso malore e morì.
Il suo decesso, avvenuto quando si apprestava a compiere appena 46 anni di età, diede luogo a numerose dicerie e sospetti di avvelenamento, tanto che fu persino arrestato per breve tempo il suo coppiere, ma non si venne a capo di nulla in proposito. La sua tomba si trova nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva e reca un epitaffio di Giano Vitale. Questo, e tutti gli altri dipinti facenti parte della collezione Gallelli di Badolato, sono inclusi nel tour castellano insieme alle altre sale, quali l'androne, la cappella di Sant'Anna dei Parafrenieri, la biblioteca, le prigioni, la sala delle armi e armature, il salotto pontificio, e le torri di combattimento.
I baroni Gallelli di Badolato, sono l’unica casata calabrese imparentata con famiglie, Principesche Papali (ovvero casate che diedero papi alla Chiesa Cattolica) da cui appunto la ricezione nel Collegio dei Parafrenieri Pontifici di Sua Santità.
Ingresso Cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (castello Gallelli di Badolato)
Cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (castello Gallelli di Badolato)
Cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (castello Gallelli di Badolato).
Dipinto di Sant’Anna dei Parafrenieri, olio su tela 120x80-2017 Maestro Giacomo Sonaglia, castello Gallelli di Badolato, cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (parete Sud- Ovest).
Cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (castello Gallelli di Badolato)
Sant’Anna dei Parafrenieri, olio su tela 120x80-2017 (particolare di Sant’Anna, sormontata dallo stemma del Collegio dei Parafrenieri Pontifici). Castello Gallelli di Badolato, cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri.
Madonna Gallelli (anonimo olio su tela 70x-100-1527) castello Gallelli, cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (parete Sud -Est).
Sua Santità Papa Francesco, olio su tela 50x70-2017 (pera del Maestro Giacomo Sonaglia). Castello Gallelli di Badolato, cappella di Sa n t’Anna dei Parafrenieri
( parete Sud - Ovest ) .
San Giorgio che uccide il drago-olio u tela 100x150 -2017 (opera del maestro Giacomo Sonaglia. Castello Gallelli, cappella di Sat’Anna dei Parafrenieri ( parete Sud -Ovest ) .
Cappella di Sant’Anna dei Parafrenieri (castello Gallelli di Badolato)
Madonna con bambino (p ittore a nonimo cm. 30x40 -1591 castello Gallelli, cappella di Sat’Anna dei Parafrenieri, parete Sud -Est) .
Papa Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de' Medici (Firenze, 11 dicembre 1475 – Roma, 1º dicembre 1521), è stato il 217º papa della Chiesa cattolica dal 1513 alla sua morte. Il dipinto (olio su tela cm. 103x210 ) è giunto nella collezione Gallelli di Badolato, attraverso il matrimonio coi baroni Corsi di Turri e Moggio.
Nel periodo granducale i Corsi erano una delle casate alleate dei Medici (contrariamente agli Strozzi, ai Pitti, e ai Pazzi) ed ebbero vari senatori in famiglia, da cui appunto la presenza di questo grande dipinto del primo papa Medici nel loro palazzo fiorentino in via Tornabuoni (donato loro dagli stessi Medici).
I Corsi furono in origine una delle principali casate di Firenze, ove vi si stabilirono nel medioevo arricchendosi gradualmente e arrivando ad acquistare numerose proprietà, prima in corso Tintori, e poi nella futura via dei Tornabuoni. Ebbero inoltre 28 priori di libertà e 9 Gonfalonieri di Giustizia nella Repubblica fiorentina, ma fondamentale per la loro ricchezza fu il trasferimento a Napoli, dove acquisirono grandi ricchezze e il titolo nobiliare di marchesi.
I baroni Gallelli di Badolato, sono l’unica casata calabrese imparentata con famiglie, Principesche, Papali (ovvero casate che diedero papi alla Chiesa Cattolica) da cui appunto la successiva ricezione nel Collegio dei Parafrenieri Pontifici di Sua Santità.